Scrittori che fanno rete

Mercoledì 22 Giugno 2011 00:00
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Gli editori, ne abbiamo parlato spesso in queste pagine, non sono più gli unici a fare i libri. Il self-publishing, nel modo in cui si sta configurando, è sicuramente uno dei cambi di paradigma più importanti per l'editoria.

Sull'onda dei casi di successo, da J.A. Konrath ad Amanda Hocking (di cui ha scritto anche ieri il New York Times), molti autori -esordienti e non- stanno seguendo l'esempio.
Dal punto di vista dello scrittore, che sia un autore indie o che sia già affermato, la possibilità di pubblicare in modo autonomo è diventata un'opzione reale su cui ragionare. La questione centrale non è solo economica (correndo da soli si guadagna di più, se il libro vende) ma riguarda anche il controllo dell'opera. E questo è uno degli snodi più interessanti di questo cambiamento di mentalità.

Intuitivamente siamo portati a credere che un libro autopubblicato sia di qualità inferiore rispetto a un testo che ha seguito tutti i passaggi del processo editoriale. Tuttavia questa è una forma di pregiudizio che ereditiamo dalle nostre abitudini, o dal ricordo dello scrittore senza editore dei tempi passati. Quello che sta succedendo, per ora solo nei casi più illuminati, è invece abbastanza diverso: gli scrittori stanno recuperando «in proprio» la logica di lavoro tipica della produzione di un libro all'interno della casa editrice.

Da un lato sta iniziando a nascere un mercato indipendente di consulenza editoriale. Nella comunità di pratiche in cui -come abbiamo visto spesso accadere grazie alla rete in altri setttori- si condividono consigli ed esperienze, il primo suggerimento è sempre, o quasi, «ingaggia un bravo editor». E il secondo è quello di produrre, anche rivolgendosi a professionisti, un testo impaginato in modo eccellente e con un buon progetto grafico.

Ma questo self-publishing nasce dentro il digitale e adotta in maniera intrinseca la logica del digitale. Quindi è un processo innanzitutto sociale e culturale. Fa rete, condivide dati, suggerimenti, esperienze. E per questo cresce tantissimo come qualità e come approccio. Molti autori, oltre a imparare la lezione del processo editoriale, fanno rete anche durante la stesura del testo. Spesso, sui loro blog, lanciano un call for beta readers, affidando la prima versione del manoscritto a dei lettori che commentano, correggono, danno consigli. E il testo migliora molto, durante questo passaggio, prima ancora di arrivare all'editor.

La logica del beta reader, importata dalle community della fan-fiction, assomiglia moltissimo ad un utilizzo intelligente della logica di network. Joanna Penn, autrice che segue molto sul suo blog il fenomeno del self-publishing, tempo fa, durante la lavorazione del suo romanzo "Pentecost", ha condiviso in modo molto personale la sua esperienza.

«Dopo aver avuto i feedback dei beta reader», racconta, «ho avuto un po' di giorni de depressione». Ma i suggerimenti che ha ottenuto in cambio della rinuncia ad un po' di amor proprio, assomigliano molto ad un lavoro ben fatto di editing collaborativo: da rilievi sull'uso dei tempi verbali a osservazioni sui dialoghi, a suggerimenti sugli sviluppi della trama.
«La qualità del lavoro che facciamo», conclude, «è la cosa più importante». Ma per noi che osserviamo quanto sta accadendo, i segnali più importanti sono queste piccole -ma significative- innovazioni di processo. Lo scrittore lavora da solo nella parte creativa, ma poi condivide, si confronta, fa rete, torna da solo sul testo, ritorna da solo sul suo lavoro creativo. E intanto ha messo un po' dell'intelligenza degli altri nella sua scrittura.

E questo approccio -non a caso parlavamo di comunità di pratiche, che la rete consente su una scala diversa rispetto al passato- è destinato a diventare uno standard, codificando una sorta di best practices. Tutti gli autori o quasi hanno sempre fatto leggere i propri manoscritti. Ma qui il networking entra a 360 gradi anche in scelte strategiche (ad esempio i prezzi e l'analisi dei dati di vendita) o nelle logiche di produzione, commercializzazione e promozione del libro. Insieme si impara più in fretta.

Personalmente non credo che il self publishing sia un fenomeno temporaneo. I primi a capirlo sono stati i grandi librai -Amazon in testa- perchè dietro l'autopubblicazione si nasconde un'importante quota di mercato, destinata a crescere.
Ma sono anche convinto che la qualità dei testi che non passano attraverso un editore stia seguendo un percorso di maturazione, in una sorta di apprendimento collettivo. In rete si migliora vedendo ciò che fanno gli altri e soprattutto vedendo come lavorano quelli che lo fanno meglio. Ed è esattamente quello che stiamo osservando nel mondo anglofono.

Poi, i casi di successo aiutano sempre a dar forza ai fenomeni nuovi. E continuano a non mancare. L'ultimo, in ordine di tempo, è quello di Bob Mayer che, in un post, ha raccontato di vendere 1000 ebook al giorno. E ha condiviso con i suoi lettori dati di vendita, logiche di prezzo e consigli operativi.

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