La società dei regali

Lunedì 23 Gennaio 2012 00:00
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Bologna, 2120. I regali di Natale non esistono più, i nostri giovani ne hanno smarrito persino la memoria. Ma vorrei ricordare loro che un secolo fa, all’inizio del Terzo Millennio, in questi giorni le città brulicavano di umani alla disperata ricerca di regali. Era una sorta di febbre difficile da spiegare. Diciamo che, in sintesi, i regali si facevano a Natale perché gli altri giorni non esistevano. Oggi è difficile capirlo, immersi come siano in quella “Economia del Regalo” che ci pare una condizione eterna e naturale. Non è così: fino a pochi decenni fa l’economia era basata sul denaro, il che significa qualcosa che è ormai difficile persino da pensare: “nessuno ti regalava nulla, ogni cosa doveva essere pagata”. Incredibile, eh?

La grande evoluzione, si sa, iniziò con Internet, che nei primi decenni del millennio abolì il denaro in quasi tutti i settori artistici e intellettuali. Nel secolo precedente, musicisti, registi, giornalisti, scrittori “vendevano” i loro prodotti in cambio di denaro ma la rete erose progressivamente questa possibilità fino ad annullarla. Si arrivò a un punto in cui dischi, romanzi, film e articoli erano scaricabili gratis nel momento stesso in cui uscivano a pagamento. Ovvio che nessuno li comprava più. Le aziende chiusero e gli intellettuali cambiarono mestiere. Erano tempi in cui i giornali erano pieni di annunci tipo “ex pop star cerca qualunque lavoro purchè serio. No la mattina!!”.

I giornali, già allora, erano tutti on-line e non erano più nemmeno gratis: al contrario, era l’editore che pagava 50 centesimi i lettori disposti a leggere mezz’ora le notizie, fornendo così un pubblico agli annunci pubblicitari. Ma il giochino no resse e anche loro chiusero i battenti, come già le altre aziende dell’industria culturale. All’epoca si versarono fiumi di byte sulla “morte della cultura” e “la fine della comunicazione di qualità”, invece fu l’inizio di una stagione gloriosa. Scrittori, giornalisti, registi, musicisti andarono a fare altri lavori ma la passione si rivelò più forte di tutto, e molti finirono a fare come hobby quel che prima facevano per mestiere. La qualità dei prodotti si innalzò notevolmente. Nessuno era più obbligato a scrivere un articolo o girare un film per contratto, lo faceva solo quando aveva davvero qualcosa da dire. I contenuti divennero più densi, ricchi, appassionanti. Poi ci fu il celebre caso di F.T., la scrittrice di libri per bambini che annunciò la sospensione della saga sugli Snork perché il lavoro in ferramenta le portava via troppo tempo. Ma i bimbi piangevano e protestavano, volevano nuove avventure degli Snork. Genitori di tutto il mondo si unirono e chiesero alla scrittrice di pubblicare in rete una “Wish List”, cioè una lista dei suoi bisogni e desideri: avrebbero pensato loro a soddisfarla, permettendole di lasciare la ferramenta e riprendere la saga. F.T. iniziò così a vivere di regali: la gente spuntava la sua “wish list”, regolarmente aggiornata, e le mandava un salame, dieci chili di pasta, o si offriva per aggiustarle la frizione. F.T era di nuovo una scrittrice a tempo pieno: non prendeva più soldi ma aveva una lista di 4250 “donatori” disposti in ogni angolo del mondo a regalarle quanto le servisse. L’esempio fece scuola: artisti e intellettuali d’ogni genere crearono la loro “wish list” e, a seconda del gradimento, trovarono un numero più o meno grande di persone pronte a far loro regali. Famoso il caso del poeta B.P., che al mondo aveva un solo fan, solo che era l’uomo più ricco d’Europa, così B.P. potè mettersi in panciolle a comporre a poesie che spediva direttamente via mail al suo unico lettore.

Si arrivò a una società “a due velocità” in cui artisti e intellettuali vivevano nella “economia del regalo” creata dal piccolo mecenatismo di massa della rete, mentre gli altri continuavano a vivere di scambi monetari. I primi a tentare di “saltare il fosso” furono professionisti che abitano sul confine tra pratica e intelletto, architetti e ingegneri. Un movimento internazionale di progettisti verdi creò una “wish list” promettendo un patto: voi ci regalate quel che ci serve a vivere, noi in cambio regaleremo Progetti Ecologici a chiunque voglia costruire, così anche chi non ha coscienza ambientale farà case ecologiche per risparmiare le spese di progettazione. Erano tempi in cui l’ansia per il futuro del pianeta montava, Venezia era sommersa e i turisti di tutto il mondo correvano a Ferrara e Rovigo, le “nuove Venezie” piene di gondole e via d’acqua.

Così la “Wish list” dei progettisti verdi ebbe molti sostenitori: pochi anni dopo c’erano al mondo oltre 20.000 eco-architetti che vivevano di regali, e in cambio regalavano progetti eco-compatibili a chiunque dovesse costruire una casa, povero o ricco che fosse. Poi cominciarono a muoversi i medici alternativi, gli avvocati di strada, le associazioni di volontariato, gli psicologi più innavativi: chiunque riteneva di avere qualcosa di buono da portare nel mondo creava la propria “Wish list”, per trovare sostenitori che gli permettessero di “lavorare per regalare” e non per produrre. Il resto è storia: quando un 15% dell’umanità ormai viveva nell’economia del regalo (e ci stava pure bene) la “wish list” divenne uno status symbol. Semplicemente, se ce l’avevi alle feste cuccavi di più. E questa, insegnano i sociologi, è la variabile che sposta il trend nelle giovani generazioni. Tutti gli under 30, dai medici ai meccanici, dai fruttivendoli agli idraulici, tentarono di creare la propria “wish list” per esercitare gratis la propria attività e mantenersi coi regali dei sostenitori. A quel punto gli economisti (che, è noto, capiscono le cose solo dopo che sono accadute) si accorsero di un fatto lampante che gli era sfuggito: “l’economia del regalo” è stata la base della civiltà per tempi biblici mentre l’economia del denaro è una esperienza marginale, due-tre miseri secolucci contro decine di migliaia di anni. E dunque agli economisti parve ovvio che, esaurita quella fase di “creazione del benessere” che aveva bisogno dello sprinter del mercato e dalla competizione, l’umanità tornasse alla sua forma originaria di circolazione di beni e servizi: il regalo.

Oggi il 70% degli eseri umani lavora nell’economia del regalo, mentre il denaro è appannaggio dei ceti meno abbienti e marginali. Forse però ogni tanto dovremmo ricordare ai nostri figli che le cose non sempre sono andate così. Appena 100 anni fa, nel 2009, i regali si facevano solo una volta all’anno, e proprio in questi giorni. Buon Natale.

Fabio Bonifacci

www.bonifacci.it