Vantarsi non é reato, se si é discreti

Domenica 26 Giugno 2011 00:00
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La Cassazione e le prestazioni sessuali

MILANO - Vantarsi delle prestazioni sessuali non è reato. A patto di farlo con una certa discrezione. Lo ha stabilito la Cassazione, stabilendo che di fatto non c'è diffamazione se i diretti interessati non sono perfettamente identificabili.

IL CASO - La quinta sezione penale si è così pronunciata a favore di un muratore 47enne della Val Badia, condannato dal giudice di pace di Brunico per diffamazione aggravata, per avere raccontato nel corso di una cena di avere effettuato dei lavori di ristrutturazione presso un cantiere e di aver «unito l'utile al dilettevole» intrattenendo con due sorelle conosciute al cantiere rapporti sessuali a tre».

L'uomo, registra la sentenza, aveva fatto solo i nomi delle interessate senza «menzionare il relativo cognome» né il luogo del menage à trois. Immediato il dileggio tra i commensali come pure la querela sporta da un parente delle signore - presente alla cena - divenute oggetto delle vanterie maschili. Il giudice di Pace di Brunico, il 15 aprile 2010, non aveva avuto dubbi nel condannare l'imputato per diffamazione aggravata. Contro questa decisione, il muratore si è rivolto alla Cassazione, facendo notare che l'offesa alle persone non era stata sentita dalle dirette interessate e che, in ogni caso, dalle sue affermazioni non era possibile individuare le persone coinvolte.

ASSOLUZIONE - La tesi difensiva ha fatto breccia tra i magistrati di piazza Cavour che hanno annullato la sentenza impugnata «perché il fatto non sussiste». In particolare, la Suprema Corte, in via generale, chiarisce che «in tema di delitti contro l'onore, l'elemento psicologico della diffamazione consiste non solo nella consapevolezza di pronunziare o di scrivere una frase lesiva dell'altrui reputazione ma anche nella volontà che la frase denigratoria venga a conoscenza di più persone». La diffamazione, poi, sussiste solo nel caso in cui «le persone cui le frasi si riferiscono» siano «individuabili». Venendo al caso in questione, la Suprema Corte - sentenza 25458 - fa notare che il muratore «quando aveva parlato del comportamento sessuale disinvolto nel quale si era, a suo dire, imbattuto nelle due sorelle, non aveva menzionato anche il relativo cognome e tantomeno precisato la località del cantiere». Insomma, il muratore si è vantato delle sue prestazioni ma lo ha fatto senza rendere le dirette interessate «identificabili». Da qui l'assoluzione.

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Che galantuomo, che gentildonne, che fior di magistratura! Certo é che mettere in pratica le proprie fantasie é davvero pericolosissimo ...