The Making of ... Sognare, Raccontare, Vivere

Lunedì 10 Settembre 2018 00:00
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Oggi, mentre andavo in treno a Roma per la ripresa del corso di scrittura dopo le vacanze estive, ho riletto gli appunti delle prime lezioni.

Quando cominciammo era il mese di aprile e il nostro insegnante esordì dicendo che sognare era un bisogno fisiologico: avevamo bisogno di raccontare per non morire.

Disse che nelle storie c'é sempre un personaggio che sogna e deve rinunciare a qualcosa per ottenere il suo sogno.

Naturalmente per ottenere il sogno va incontro ad alcuni ostacoli che rendono doloroso il suo cammino, ostacoli che cercherà di evitare, anche se questo tipo di comportamento non é proprio vivere ma "sopravvivere" e sarebbe meglio che cavalcasse quella sofferenza per risolverla. Purtroppo ha la tendenza a non farlo. Ed é ciò che facciamo anche noi. Nella vita reale.

Quindi lo faremo fare ai protagonisti delle nostre storie. Perché loro sono noi, loro fanno quello che faremmo noi, ed é questa la magia di un racconto: un poterte salvifico, balsamico, il bisogno di descrivere la vita vicaria che vorremmo vivere, e nel raccontarne i punti deboli che sono di ognuno, li trasformiamo in racconto e proprio così li superiamo, attraverso la narrazione.


Queste sue parole a distanza di tempo si riempiono di significati, assumono un senso pieno.

Nell'arte, e dunque anche nella scrittura, ognuno mette un po' della sua vita nel tentativo di riequilibrare così errori, omissioni, ingiustizie perpetrate e subite. Ripara attraverso la fantasia ciò che non gli é riuscito di sistemare in vita e raccontando o fornendo spunti tenta di condividere, imparando a sua volta e rendendosi utile prima a sé e poi ad altri, se é per loro il momento giusto e coglieranno il messaggio.

Quest'estate mi sono fermata totalmente con la scrittura del romanzo. Sono stati due mesi pieni di inattività. Non so perché. Non che non ne avessi il pensiero, anzi, ma credo ci siano cose che vadano accettate così, come vengono, ed é quello che ho fatto. Adesso però sono tornata e mi serve solo qualche goccia di Larch e Hornbeam per ricominciare.

Questa settimana abbiamo due compiti: il primo é scrivere un dialogo. Quattro personaggi, due maschi e due femmine, di cui abbiamo linea caratterizzante per tre di loro mentre uno é a piacere. La situazione é un invito a cena a casa delle ragazze. Il secondo é pensare a cosa dire in presenza di un Produttore o Editore per convincerlo a credere nel nostro progetto.

Nel primo compito ho tergiversato un po', sospesa sul "da che parte inizio?". Tutta quella libertà, tutte quelle infinite possibilità risultavano inizilamente limitanti. Poi cominciando, proprio per lo stesso motivo é diventato facile: qualsiasi idea andava bene ed era lo spunto da seguire.

Per il Produttore I fade to black*: l'argomento per lui non sarebbe né facile né appetibile. Non é nemmeno poco costoso nella realizzazione. Dalla sua ha solo che é una bella storia e quando la racconto gli occhi delle persone si accendono di curiosità ... forse é proprio questo che dovrei dire. O forse il grande schermo non é la cosa giusta. Magari é il romanzo la strada da seguire.

Che sia stato questo il senso della richiesta? Realizzare cosa facevamo, analizzando punti di forza e punti deboli per trovare il meglio? Forse si.

Ciao, bentornati anche a voi.

V.

"Strada facendo ho però imparato alcune cose. Una delle cose che ho imparato é che dovevo piegarmi, altrimenti mi sarei spezzato." - Raymond Carver, Il mestiere di scrivere - Fuochi.

* Fade to black = nel linguaggio cinematografico é la dissolvenza a nero, quando finisce una scena e appare un fondo nero, é un momento di buio.