Mercoledì 25 Settembre 2024 00:00
Dopo aver terminato la tesi mi accorsi di avere ancora qualcosa da dire rispetto alle riflessioni della grande filosofa Simone Weil. ANTIDOTI è il risultato di alcuni pensieri postumi di quei giorni su avvenimenti di cronaca, sul colonialismo, sul lavoro. Spero lo troverete interessante. Nella favola n. 220 di Igino[1] già pubblicata su questo sito nel dicembre 2023, attribuita all’astronomo Hyginus del I secolo, si parlava di «Cura».
La «Cura», attraversando un fiume vide del fango cretoso; pensierosa, ne raccolse un po’ e incominciò a dargli forma. Mentre era intenta a stabilire che cosa avesse composto, arrivò Giove. «Cura» lo pregò di infondere lo Spirito in quello che aveva appena formato e Giove acconsentì volentieri. Ma quando «Cura» pretese di imporre il suo nome a ciò che aveva fatto, Giove non fu d’accordo: voleva che il nome imposto fosse il suo. «Cura» e Giove disputavano sul nome da dare e intervenne allora Terra, reclamando che all’oggetto del contendere fosse imposto il proprio nome, giacché lei gli aveva dato una parte del proprio corpo. I disputanti si rivolsero allora a Saturno quale giudice, ed egli comunicò la seguente equa decisione: «Tu Giove, poiché hai dato lo Spirito, alla morte riceverai lo Spirito; tu Terra, poiché hai dato il corpo, riceverai il corpo. Ma poiché fu la Cura che per prima diede forma a questo Essere, fintanto che esso vivrà lo possiederà la Cura. Dato però che la controversia riguarda il suo nome, si chiami homo poiché è fatto di humus.» Fintanto che siamo in vita, tener presente che è “la Cura” la nostra caratteristica principale come esseri umani, sarebbe già un ottimo inizio. E dato che “tocca agli uomini badare che non venga fatto del male agli uomini”[2] ho cercato di osservare se nella società odierna qualcosa potrebbe essere, per come si prospetta nei tempi a venire, un possibile male per gli individui.
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Lunedì 01 Luglio 2024 00:00
Di tanto in tanto si affacciano al panorama culturale delle notizie che hanno dell'incredibile, delle quali a prima vista non si riesce nemmeno a immaginare la genesi. La notizia é del Daily Mail e riguarda il caso della SOAS Università di Londra (ex Scuola di studi orientali e africani) la quale vorrebbe escludere dai programmi di studio due dei più grandi pensatori greci della tradizione occidentale: li hanno chiamati "uomini bianchi morti" con accezione negativa. Cancellare Socrate e Aristotile dallo studio della filosofia equivarrebbe secondo loro a DECOLONIZZARE la filosofia, e perciò questo gruppetto di quattro studenti universitari stagisti con l'aiuto di quattro filosofi accademici (di materie piuttosto varie!) redigono e propongono una "nuova guida" al fine di introdurre una maggior evidenza delle prospettive filosofiche africane, asiatiche, mediorientali e dell'america latina.
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Venerdì 10 Maggio 2024 00:00
Da ultimo vorrei dire due parole sul temperamento generoso, appassionato e disarmante di Simone Weil, decisivo nelle scelte e di conseguenza nelle esperienze della sua vita.
Come anticipato nel primo capitolo la particolarità del suo carattere era un’intelligenza pronta legata però all’azione: azione e pensiero andavano di pari passo. Non riusciva a pensare rimanendo inerte, riteneva che quando si agisce l’anima si libera in virtù dell’interruzione di un’attività meccanica, a fronte di un lampo di attenzione, perché “un atto privo di attenzione e di consapevolezza non era davvero libero”.[1] Per questa ragione non le piaceva stare in quella che definiva la retrovia.
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Mercoledì 08 Maggio 2024 00:00
Come abbiamo visto Simone Weil parlava un linguaggio spirituale ma teso ai bisogni materiali. Negli ultimi mesi della sua vita scrive la Dichiarazione dei doveri verso un essere umano[1] dove distingue nettamente l’individuo dalla sua appartenenza alla collettività. Questa distinzione appare significativa nel mondano, sebbene sia (a ragione) insignificante per Weil.
“L’obbligo lega solo gli esseri umani. Non c’è obbligo per le collettività come tali. Ve ne sono invece per tutti gli esseri umani che compongono, servono, comandano o rappresentano una collettività, tanto per la parte della loro vita che è legata alla collettività quanto per quella che ne è indipendente.”[2]
Sul concetto di Obbligo torno tra un attimo, vediamo prima perché la distinzione appare importante.
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Martedì 07 Maggio 2024 00:00
Capitolo 3 - Dall'oppressione alla cura dell'altro: vie possibili Qu’on ne dit pas que je n’ai rien dit de nouveau:
la disposition des matières est nouvelle;
quand on joue a la paume,
c’est une même balle dont on joue l’un et l’autre,
mais l’un la place mieux.
Pensée 65 – Blaise Pascal[1]
3.1 Cercare la verità (e il Bene)
La ricerca della verità era la vocazione centrale in Simone Weil. Nel cercarla come nutrimento della mente Weil andava dritta al punto: era essenziale informarsi ma l’informazione disponibile doveva fornire esclusivamente elementi utili ai fruitori, indicando concetti e idee, e rappresentando eventi reali da cui ricavare esperienze o formarsi le opinioni; se l’informazione rilasciata era erronea, inesatta o imprecisa si fuorviavano i pensieri di chi leggeva fiducioso:
“Al libro che leggono, essi prestano fede. Non abbiamo il diritto di nutrirli di menzogne.”[2]
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Domenica 05 Maggio 2024 00:00
Weil rimproverava alla Francia di non aver riconosciuto lo stato in cui versava.
Mentre in Germania lo sradicamento aveva assunto una forma aggressiva, “in Francia si manifestava come letargia e stupore”[1]. Era dunque paradossale osservare il suo non tener testa all’invasione germanica essendo la stessa nazione dal passato di sottomissione e di estensione per conquista nel mondo intero! Nel doloroso crollo che sorprendeva tutti, la Francia dimostrava quanto poteva essere essa stessa sradicata: occupando altri territori aveva solo esportato lo sradicamento di cui soffriva, e pur continuando a manifestare esteriormente la sua bella chioma “un albero che abbia radici quasi completamente ròse, cade al primo urto”[2] scriveva la filosofa. Accettando dunque il principio base chi è sradicato, sradica, va da sé che lo sradicamento accompagnato da forza è conseguenza diretta dell’espansione dei popoli europei su nuove terre ...
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Venerdì 03 Maggio 2024 00:00
Nel suo saggio sul colonialismo Aimé Césaire[1], poeta e politico della Martinica, uno dei fondatori del movimento Négritude[2], sostiene che l’Europa colonizzatrice è indifendibile e vale la pena studiare in dettaglio l’hitlerismo per far emergere rivelazioni fondamentali:
“(…) rivelare al borghese distinto, umanista, cristiano del XX secolo, che anch’egli porta dentro di sé un Hitler nascosto, rimosso; ovvero (…) ciò che non perdona a Hitler non è il crimine in sé, non è il crimine contro l’uomo, non è l’umiliazione dell’uomo in quanto tale, ma il crimine contro l’uomo bianco, l’umiliazione dell’uomo bianco, il fatto di aver applicato in Europa quei trattamenti tipicamente coloniali che sino ad allora erano stati prerogativa esclusiva degli arabi d’Algeria, dei Coolie dell’India e dei negri dell’Africa.”[3]
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Mercoledì 01 Maggio 2024 00:00
Capitolo 2 - Forme e metodi del colonialismo Mien, tien.
Ce chien est à moi, disaient ces pauvres enfants;
c’est là ma place au soleil.
Voilà le commencement et l’image
De l’usurpation de toute la terre.
Blaise Pascal, pensée 231
Day-o, day-o
Daylight come and me wan' go home
Work all night for a drink of rum
(Daylight come and me wan' go home)
Stack banana till de morning come
(Daylight come and me wan' go home)
Come, Mister tally man, tally me banana
(Daylight come and me wan' go home)
Day-o (Banana Boat Song)
Harry Belafonte, 1956[1]
[1] Harry Belafonte é stato un cantante e un attivista per i diritti civili. La sua famosa canzone Day.O (Banana Boat Song) é un canto popolare giamaicano che racconta le dure condizioni di lavoro coloniale dei caricatori delle navi bananiere: lavorando tutta la notte nel farsi giorno vogliono andare a casa, attendono solo che Mr tally man (il contabile) conti le casse caricate. Belafonte partecipò come speaker alla marcia su Washington del 1963 per il lavoro e la libertà, a sostegno dei diritti civili ed economici per gli afroamericani, sotto la presidenza di John Fitzgerald Kennedy. In quell'occasione, il leader afro-americano Martin Luther King Jr. pronunciò al Lincoln Memorial lo storico discorso I have a dream, invocando la fine del razzismo e la pace tra bianchi e neri. Nella stessa occasione Harry Belafonte dirà: “Crediamo che gli artisti abbiano una funzione di valore in ogni società, poiché sono gli artisti che rivelano la società a sé stessa”.
La traduzione è mia dal video sottostante (al min. 5’10). https://abcnews.go.com/US/video/archival-video-harry-belafonte-speaks-march-washington-1963-45832971.
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Lunedì 29 Aprile 2024 00:00
1.3 La questione coloniale
La questione coloniale era da sempre stata presente nel pensiero di Simone Weil, sin dalle prime esperienze di lavoro in fabbrica e sindacato, quando aveva provato di persona l’oppressione per la prima volta. Lei, che proveniva da una famiglia colta e agiata, per meglio capire le condizioni materiali del lavoro aveva voluto sperimentare direttamente il lavoro in fabbrica, per rendersi conto di cosa significasse lavorare alla catena di montaggio di una grande industria. Ma della questione coloniale parlò diffusamente solo nell’ultimo periodo della sua vita, una volta giunta a Londra per lavorare con France Libre, l’organizzazione politico-militare di resistenza anti-nazista creata dal Generale De Gaulle durante la seconda guerra mondiale, che attirava intellettuali francesi. L’anticolonialismo di Simone Weil nacque perciò molto presto, dalla consapevolezza che l’oppressione colpiva pesantemente gli abitanti delle molte colonie francesi.
La prima volta che si era sentita coinvolta in questa storia aveva solo ventuno anni e fu a causa della sanguinosa repressione attuata a Yen Bai in Indocina (Tonchino), nel 1930:[1] gli indigeni erano stati uccisi per la loro voglia di indipendenza. Lei lo aveva saputo dal quotidiano.
Come ogni mattina passava a ritirare le Petit Parisien, il giornale che leggeva a pranzo, dove il giornalista e scrittore Louis Roubaud[2] aveva scritto un’inchiesta coraggiosa e ben documentata. La tragedia indocinese scaturiva dalla rivalsa francese per l’uccisione di suoi ufficiali ad opera della guardia indocinese, e la risposta francese aveva fatto secondo alcune stime 10.000 vittime tra contadini e popolazione civile, una repressione enorme e spietata che tornerà nei suoi scritti costantemente. Nel leggere delle violenze e dell’uccisione degli operai ammanniti, impotenti di fronte a tanta forza bruta, lacrime di vergogna le avevano rigato il viso e racconta che l’anno successivo, il 1931 periodo dell’esposizione coloniale internazionale di Parigi,[3] percepiva palpabile la contraddizione esistente tra la tranquilla e incosciente folla parigina piena di ammirazione del Tempio di Angkor-vat, e la loro indifferenza rispetto alle sofferenze inflitte a quel popolo proprio dal colonialismo francese.
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Domenica 28 Aprile 2024 00:00
Capitolo 1 - Cause, radici e sviluppi dell'oppressione sociale. 1.2 Parole vuote e omicide Nell’analizzare i grandi ideali per i quali si è portati all’uso della violenza e della forza, nel testo del 1937 Non ricominciamo la guerra di Troia[1], Weil scopre che quelli di fatto sono parole che coprono un vuoto effettivo, e che sono utilizzate prevalentemente in politica: nazione, sicurezza, proprietà, democrazia, ordine autorità. Le chiama “parole omicide” perché non indicano obiettivi da raggiungere e non hanno altro scopo che la morte. In presenza di un obiettivo concreto, attraverso una forma di dialogo e compromesso, l’obiettivo sarebbe alla portata dei rivali, ma come nella guerra di Troia non c’è e le parole hanno il ruolo di Elena, abbellite di maiuscole ma senza contenuto.
Weil vorrebbe smascherare l’ipocrisia, togliere la patina di inganno, quel vocabolario artificiale in uso alla politica che genera potere, violenza, e perciò uso della forza con il pretesto della sicurezza o del bene pubblico.
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Mercoledì 24 Aprile 2024 11:35
Capitolo 1
Cause, radici e sviluppi dell’oppressione sociale
“Non camminare davanti a me, potrei non seguirti;
non camminare dietro di me, potrei non sapere dove andare;
cammina a fianco a me e sii per me un amico!”
Albert Camus
“On les voit à peine, on les sent, plutôt qu’on ne les voit. On à des peines infinies à les faire sentir à ceux qui ne les sentent pas d’eux-memes (…)”
Blaise Pascal, pensée 21 - Esprit de géometrie et ésprit de finesse
1.1 L’oppressione sociale
Era una Simone Weil giovanissima quella che a soli venticinque anni prendeva coscienza di snodi fondamentali, e scriveva riflessioni impattanti e significative essendo mossa da sete di giustizia e apertura verso l’altro suo simile. Pensava naturalmente ad alcune soluzioni pratiche, come era il suo modo di reagire alle situazioni nel tentativo di “riparare il mondo”, analizzando dapprima le cause e le forme in cui l’oppressione sociale si era storicamente data.
“Dal punto di vista morale l’oppressione è un insulto alla dignità della natura umana”[1] scriveva nella lezione di filosofia sull’oppressione sociale per le sue allieve al liceo femminile di Roanne, nel 1933-34, appena dopo il primo periodo di insegnamento a le Puy, dove la militanza nel sindacato rivoluzionario e le umane frequentazioni con gli operai avevano generato uno scandalo,[2] e persino interventi delle autorità scolastiche a verifica dei suoi metodi di insegnamento, risultati ineccepibili.
E’ l’anno in cui scrive l’articolo Riflessioni sulle cause della libertà e dell’oppressione sociale a cui teneva molto, una sorta di “testamento” prima dell’ingresso in fabbrica, testo che le prenderà molte energie[3] a partire dalla primavera e per buona parte dell’estate assumendo infine le dimensioni di un piccolo libro.[4] Datata 20 giugno 1934 è anche la domanda di aspettativa per “studi personali” dove non parla naturalmente del suo voler lavorare in fabbrica ma descrive il progetto in questi termini:
“Desidererei preparare una tesi di filosofia concernente il rapporto della tecnica moderna, base della grande industria, con gli aspetti essenziali della nostra civiltà, cioè da un lato la nostra organizzazione sociale e dall’altro la nostra cultura.”[5]
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