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di Valeria Ballarati

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Bioetica, la vita e la morte

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Si sveglia dal coma che tutti, tranne la mamma, dicevano irreversibile

Quel modo di guardare le cose (di certe madri)

A volte noi donne, mamme in ispecie, diventiamo famose per il nostro vizio di ingigantire ed esasperare piccole cose, cose quasi da nulla che altri direbbero di trascurare del tutto.

Eppure in questa cifra, che si impone anche quando non dovrebbe, è nascosto un talento formidabile.

Chi altri, se non la mamma di questo ragazzo in coma da più di due anni, avrebbe saputo attaccarsi ai minimi movimenti di un dito della sola mano sinistra? Solo Viviana, la mamma che ora ha 56 anni, ci ha creduto e ha agito, ostinatamente, di conseguenza.

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THAILANDIA / DICHIARA GUERRA A ‘PZIFER’ DOPO LA MORTE CEREBRALE DELLA SUA PRINCIPESSA

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Thailandia dichiara guerra a ‘Pfizer’, la star di Big Pharma che per prima al mondo ha ideato e prodotto il vaccino anti covid.

Il motivo? Presto detto. La principessa destinata al trono, Bajrakitiyabha Narendira Debyavati, è in stato di coma profondo dal quale – secondo i suoi medici – non si riprenderà mai più, a tre settimane dall’inoculazione della seconda dose di vaccino ‘Pfizer’, il ‘richiamo’.

Quarantaquattrenne, aveva una salute di ferro, mai una malattia in vita sua, neanche un’influenza o un semplice raffreddore.

Per questo motivo, il governo tailandese ha deciso di denunciare Pfizer: non solo chiedendo un risarcimento danni di proporzioni colossali, ma anche annullando i contratti firmati per l’acquisto di oltre 30 milioni di dosi. E con il denaro ottenuto per la restituzione di quanto già pagato, intende risarcire i danni patiti da tutte le famiglie tailandesi che hanno avuto un morto in casa per effetto del vaccino, o che abbiamo subito gravi danni alla loro salute: i famigerati ‘effetti avversi’ che si stanno registrando con sempre maggior frequenza in tutte le nazioni del mondo.


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Giacomo Ciaccio Montalto: un esempio da non dimenticare

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Non perdetevi questo articolo, e la storia di questo viso.

Il magistrato Mario D'Angelo ricorda il collega ucciso dalla mafia il 25 gennaio 1983

 
Il magistrato Giacomo Ciaccio Montalto "Giacomo" era figlio di siciliani, ma non era nato in Sicilia ma a Milano dove allora suo padre Enrico, pure Lui magistrato di grande spessore tecnico e di eccezionale rettitudine, che fu presidente di sezione della cassazione, al tempo della nascita di Giacomo lavorava, ed era siciliano nell’anima e in tutto il suo essere.

Amava profondamente questa terra e tutto ciò che di positivo vi si trova pur avendo piena consapevolezza che senza l’affrancazione dal giogo della mafia e dalle incrostazioni di tanti poteri più o meno occulti non sarebbe stata mai possibile una vera rinascita.
Ebbe rapporti molto stretti con Giovanni Falcone, nati negli anni del comune lavoro a Trapani sino al 1978, e ne fu ispiratore perché, almeno nel primo periodo di attività professionale, Giovanni, che a Trapani negli anni conclusivi della sua permanenza aveva svolto soprattutto funzioni civili, riconoscendo la specializzazione penalistica di Giacomo, ricorreva frequentemente ai suoi consigli.

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Tesi 1 Cause, radici e sviluppi dell'oppressione sociale 1.1 l'oppressione sociale

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Capitolo 1

Cause, radici e sviluppi dell’oppressione sociale


“Non camminare davanti a me, potrei non seguirti;

non camminare dietro di me, potrei non sapere dove andare;

cammina a fianco a me e sii per me un amico!”

Albert Camus


“On les voit à peine, on les sent, plutôt qu’on ne les voit.

On à des peines infinies à les faire sentir à ceux qui ne les sentent pas d’eux-memes (…)”

Blaise Pascal, pensée 21 - Esprit de géometrie et ésprit de finesse


1.1 L’oppressione sociale

Era una Simone Weil giovanissima quella che a soli venticinque anni prendeva coscienza di snodi fondamentali, e scriveva riflessioni impattanti e significative essendo mossa da sete di giustizia e apertura verso l’altro suo simile. Pensava naturalmente ad alcune soluzioni pratiche, come era il suo modo di reagire alle situazioni nel tentativo di “riparare il mondo”, analizzando dapprima le cause e le forme in cui l’oppressione sociale si era storicamente data.

“Dal punto di vista morale l’oppressione è un insulto alla dignità della natura umana”[1] scriveva nella lezione di filosofia sull’oppressione sociale per le sue allieve al liceo femminile di Roanne, nel 1933-34, appena dopo il primo periodo di insegnamento a le Puy, dove la militanza nel sindacato rivoluzionario e le umane frequentazioni con gli operai avevano generato uno scandalo,[2] e persino interventi delle autorità scolastiche a verifica dei suoi metodi di insegnamento, risultati ineccepibili.

E’ l’anno in cui scrive l’articolo Riflessioni sulle cause della libertà e dell’oppressione sociale a cui teneva molto, una sorta di “testamento” prima dell’ingresso in fabbrica, testo che le prenderà molte energie[3] a partire dalla primavera e per buona parte dell’estate assumendo infine le dimensioni di un piccolo libro.[4] Datata 20 giugno 1934 è anche la domanda di aspettativa per “studi personali” dove non parla naturalmente del suo voler lavorare in fabbrica ma descrive il progetto in questi termini:

“Desidererei preparare una tesi di filosofia concernente il rapporto della tecnica moderna, base della grande industria, con gli aspetti essenziali della nostra civiltà, cioè da un lato la nostra organizzazione sociale e dall’altro la nostra cultura.”[5]


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La Teresa di Antonio Provasio

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Antonio Provasio recita in legnanese. Fa il tutto esaurito nei teatri e ascolti record su Raidue. Perché racconta la vita del cortile, quando non avevamo niente eppure credevamo di avere tutto


Antonio Provasio è nato nel 1962, eppure il boom economico non sa che cosa sia, non l’ha visto. «Sono cresciuto nel cortile, una casa di ringhiera in via Roma, a Legnano. I miei genitori erano operai al cotonificio Cantoni. Appartengo all’ultima generazione di italiani che non hanno avuto il cesso in casa. Per raggiungerlo bisognava scendere una rampa di scale. Ma ci consideravamo privilegiati: era tutto nostro, chiuso a chiave. Le altre 12 o 13 famiglie, per lo più immigrati meridionali, usavano i gabinetti comuni. Nella corte io ero il solo figlio unico. I miei compagni di gioco avevano chi sette, chi otto, chi nove fratelli. Ero anche il solo a far merenda: pane bagnato nell’acqua e spolveratodi zucchero. Alle16 gli amici mi guardavano con invidia, provavo disagio. Allora mia madre li chiamava e dava una fetta zuccherata anche a loro. Il primo ad arrivare era Fausto, un siciliano di 4 anni, ultimo di otto fratelli. Lo ricordo perché aveva sempre la candela al naso. In un baleno ingoiava pane, moccio, tutto. Nel cortile non c’erano porte chiuse a chiave, a parte quella del nostro cesso. E del resto un ladro che cosa avrebbe potuto rubare? Nella bella stagione, il sabato pomeriggio mio padre mi portava col motorino a fare il bagno nel canale Villoresi, nel senso che mi lavava col sapone nelle rogge. Ero felice».

 

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