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di Valeria Ballarati

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Perì hermeneias

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Come promesso oggi prenderò il coraggio a due mani ed esporrò un pensiero che, prima di tutto mi auguro non sia sbagliato e, secondariamente, spero possa essere di un qualche tipo di interesse.

Quando studiavo per l’esame ho speso due giorni nel tentativo di comprenderne meglio il senso. Mi ha dato molto da pensare.

Si tratta dell'antico e importante Trattato sulle parti del discorso e il rapporto del linguaggio col mondo, il Perì hermeneias di Aristotile, più noto come De interpretatione, parte dell'opera che vedete a fianco. Il passo è questo:

“Diciamo pertanto che ciò che si dà nella voce è costituito di simboli delle affezioni che si danno nell’anima, e le notazioni scritte sono simboli di ciò che si dà nella voce. E come le lettere scritte non sono le medesime per tutti, così neppure le voci pronunciate sono le medesime per tutti; ciò, tuttavia, di cui queste sono in primo luogo segni, sono per tutti le medesime affezioni dell’anima, e ciò di cui queste sono immagini, sono cose che sono già esse stesse le medesime.”

Che vor dì? Fàmola facile:

c’è qualcosa nel parlato degli individui che è contrassegno di ciò che succede nell’anima, e che ugualmente le lettere scritte esprimono al pari della voce. Ma le lettere scritte non sono uguali per tutti (tanti alfabeti diversi) e neanche le voci sono uguali per tutti (tante pronunce, tante lingue); solo ciò di cui sono indice sono le stesse per tutti, e ciò di cui sono immagine sono le stesse cose per tutti. Capito?

Ci vien detto che le affezioni dell’anima sono le stesse per tutti, universali. E le cose che sono nell’anima sono anche immagini di qualcosa di universale. Mentre le voci e le lettere no, cambiano. Aristotile sta dicendo che c’è un momento variabile nel linguaggio ma c’è un momento universale nell’anima: sono due dimensioni. E allora la domanda è:  

Che cosa si dà nella voce?

Cosa sono queste affezioni dell’anima uguali per tutti?


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1 Corrispondenza Simone Weil-Joe Bousquet

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Joe Bousquet: La Dolorosa Coscienza Di Un Viaggiatore Immobile | Time ...

Simone Weil e Joe Boousquet si conoscono grazie all'editore Ballard di Marsiglia per i quali entrambi collaboravano a un progetto sulla civiltà occitana. 

Nei giorni precedenti la Pasqua di quell'anno Simone vorrebbe assistere alle funzioni religiose presso un'abbazia, e sulla strada per raggiungerla fanno una sosta a Carcassonne, nella casa di Joe Bousquet, scrittore e poeta, grande invalido civile della prima guerra. Tra i due nasce un'amicizia, e una corrispondenza significativa.

A breve lei accompagnerà i genitori negli Stati Uniti, ma vorrà tornare a Londra dove si unirà a France Combattante, addetta a progetti per la ricostruzione del dopoguerra, ma con il desiderio di prendere parte attiva al progetto infermiere di prima linea.

13 aprile 1942 Nella prima lettera inviata a Joë Bousquet Simone Weil dichiara di conoscerlo da soli 15 giorni, ma pensa che incontrarlo sia stato per lei prezioso.

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TESI 3.3 La retrovia

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Da ultimo vorrei dire due parole sul temperamento generoso, appassionato e disarmante di Simone Weil, decisivo nelle scelte e di conseguenza nelle esperienze della sua vita.

Come anticipato nel primo capitolo la particolarità del suo carattere era un’intelligenza pronta legata però all’azione: azione e pensiero andavano di pari passo. Non riusciva a pensare rimanendo inerte, riteneva che quando si agisce l’anima si libera in virtù dell’interruzione di un’attività meccanica, a fronte di un lampo di attenzione, perché “un atto privo di attenzione e di consapevolezza non era davvero libero”.[1] Per questa ragione non le piaceva stare in quella che definiva la retrovia.

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La piramide di Marx

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La borghesia ha avuto nella storia una funzione sommamente rivoluzionaria.

Dove è giunta al potere, essa ha distrutto tutte le condizioni di vita feudali, patriarcali, idilliache.

Essa ha lacerato senza pietà i variopinti legami che nella società feudale avvincevano l’uomo ai suoi superiori naturali, e non ha lasciato tra uomo e uomo altro vincolo che il nudo interesse, lo spietato «pagamento in contanti».

Essa ha affogato nell’acqua gelida del calcolo egoistico i santi fremiti dell’esaltazione religiosa, dell'entusiasmo cavalleresco, della sentimentalità piccolo-borghese.

Ha fatto della dignità personale un semplice valore di scambio; e in luogo delle innumerevoli franchigie faticosamente acquisite e patentate, ha posto la sola libertà di commercio senza scrupoli.

In una parola, al posto dello sfruttamento velato da illusioni religiose e politiche, ha messo lo sfruttamento aperto, senza pudori, diretto e arido. La borghesia ha spogliato della loro aureola tutte quelle attività che per l’innanzi erano considerate degne di venerazione e di rispetto. Ha trasformato il medico, il giurista, il prete, il poeta, lo scienziato in suoi operai salariati.

La borghesia ha strappato il velo di tenero sentimentalismo che avvolgeva i rapporti di famiglia, e li ha ridotti a un semplice rapporto di denari.

La borghesia ha messo in chiaro come la brutale manifestazione di forza, che i reazionari tanto ammirano nel Medioevo, avesse il suo appropriato completamento nella più infingarda poltroneria.

Essa per prima ha mostrato che cosa possa l’attività umana. Essa ha creato ben altre meraviglie che le piramidi d’Egitto, gli acque dotti romani e le cattedrali gotiche; essa ha fatto ben altre spedizioni che le migrazioni dei popoli e le Crociate.

Marx ed Engels, il Manifesto.

 

Diventare musica

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di Vito Mancuso, filosofo e teologo

La musica non riguarda solo i musicisti: riguarda tutti noi. Io che scrivo e voi che leggete non dobbiamo essere altro che musica. Siamo suoni, ma dobbiamo diventare musica. Il senso dell’essere qui, per lo meno da come l’ho compreso finora, è accordare i nostri suoni: dapprima ponendoli in una successione tale da produrre una melodia, cioè la nostra musica interiore, e poi cercando di armonizzare la melodia ottenuta con quella del mondo e degli altri viventi. Questa armonizzazione tra la nostra musica interiore e quella del mondo e degli altri viventi si chiama religio. La religio (uso il termine latino perché quello italiano corrispondente è ormai consumato) è una successione ordinata dei suoni prodotti da quello strumento del tutto peculiare che si chiama libertà. Se c’è religio, la libertà si accorda con la Musica originaria, e di conseguenza con la musica delle altre libertà, riuscendo così a diventare una nota della Grande Armonia.

Prima ancora che negli strumenti fatti di legno o di metallo, prima ancora che nelle mani dei musicisti, la musica abita le nostre anime. Io penso che la spiritualità si possa definire come la colonna sonora della vita. Ospitare una colonna sonora piuttosto che un’altra trasforma il nostro rapporto con la vita. Avere al proprio interno una musica che infonde allegria e pace è uno dei doni più grandi che possiamo ricevere dalla vita. Alla fine di tutto il nostro fare, infatti, si tratta forse solo di essere musica: di essere una vibrazione che introduce calore, allegria e pace nell’immenso concerto del mondo.

[#Laviadellabellezza, #VitoMancuso]

Oggi 21 giugno è la #FestadellaMusica2024. In foto, la chiave di Sol secondo i vari compositori

 


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