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di Valeria Ballarati

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Interessante frammento

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Per continuare la SAGA FILOSOFICA vorrei proporre la lettura dell'unico frammento di Anassimandro giunto fino a noi. 

Perché proprio questo? 

Perché é il più antico testo filosofico occidentale, da sempre oggetto di interpretazione dei filosofi, e non essendo ancora ben compreso, gli studiosi cercano una soluzione all'enigma.

Anch'io voglio cimentarmi nell'impresa, per quanto posso capire con il mio modo di vedere le cose della vita, attingendo al bagaglio che ognuno di noi, nel suo vivere quotidiano, acquisisce.

Dunque, il frammento tradotto e riportato da DAPHNET.org dice così:

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Piero Martinetti

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13 dicembre 1931

Eccellenza!

Ieri sono stato chiamato dal Rettore di questa Università che mi ha comunicato le Sue cortesi parole, e vi ha aggiunto, con squisita gentilezza, le considerazioni più persuasive. Sono addolorato di non poter rispondere con un atto di obbedienza. Per prestare il giuramento richiesto dovrei tenere in nessun conto o la lealtà del giuramento o le mie convinzioni morali più profonde: due cose per me egualmente sacre. Ho prestato il giuramento richiesto quattro anni or sono, perché esso vincolava solo la mia condotta di funzionario: non posso prestare quello che oggi mi si chiede, perché esso vincolerebbe e lederebbe la mia coscienza.

Ho sempre diretta la mia attività filosofica secondo le esigenze della mia coscienza, e non ho mai preso in considerazione, neppure per un momento, la possibilità di subordinare queste esigenze a direttive di qualsivoglia altro genere. Così ho sempre insegnato che la sola luce, la sola direzione ed anche il solo conforto che l'uomo può avere nella vita è la propria coscienza; e che il subordinarla a qualsiasi altra considerazione, per quanto elevata essa sia, è un sacrilegio. Ora col giuramento che mi è richiesto io verrei a smentire queste mie convinzioni ed a smentire con esse tutta la mia vita; l'E.V. riconoscerà che questo non è possibile.

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Il mercante di Venezia abita (anche) alla Sapienza

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Per carità: i crediti formativi la Sapienza li dà agli studenti che partecipano all’evento di apertura della Giornata mondiale del donatore di sangue (una specie di kermesse autoreferenziale alla presenza dei soliti noti: Rettore, Ministro della Salute, ecc.). E non agli studenti che, una volta sul posto, decidano più o meno spontaneamente di donare il sangue presso le autoemoteche che – del tutto casualmente – si trovano lì.

Certo però che il passo è breve, no?

Se poi uno provasse ribrezzo e repulsione per tanto potenziale mercimonio della vita umana, ricordi che:

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PROGETTO DI UNA FORMAZIONE DI INFERMIERE DI PRIMA LINEA

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L'infermiere soldato | Nurse Times(tratto dagli scritti di Londra e dalle ultime lettere – tradotto da Giancarlo Gaeta)

Il progetto di Infermiere di Prima linea proposto da Simone Weil era stato valutato favorevolmente in un rapporto della Commissione Senatoriale per l’esercito del Ministero della Guerra francese nel maggio 1940. 

Riguardava la formazione di un gruppo di infermiere, mobili e operative nei punti pericolosi, per portare un primo soccorso ai caduti e feriti nella piena battaglia. Inizialmente un gruppetto di 10 unità avente conoscenze elementari da infermiera (fasciatura, lacci emostatici, iniezioni, uniche necessità applicabili in battaglia) ma con qualità morali indispensabili. Simone pensava che chi si offriva volontariamente ne sarebbe stata in possesso, poiché l’orrore della guerra era già un forte deterrente.

Sembrava a prima vista un progetto impraticabile perché nuovo, mentre era fattibile e facile da realizzare. Se falliva non avrebbe avuto inconvenienti; se avesse avuto successo i vantaggi erano al contrario considerevoli.

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Tesi 1.3 La questione coloniale

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1.3 La questione coloniale

La questione coloniale era da sempre stata presente nel pensiero di Simone Weil, sin dalle prime esperienze di lavoro in fabbrica e sindacato, quando aveva provato di persona l’oppressione per la prima volta. Lei, che proveniva da una famiglia colta e agiata, per meglio capire le condizioni materiali del lavoro aveva voluto sperimentare direttamente il lavoro in fabbrica, per rendersi conto di cosa significasse lavorare alla catena di montaggio di una grande industria. Ma della questione coloniale parlò diffusamente solo nell’ultimo periodo della sua vita, una volta giunta a Londra per lavorare con France Libre, l’organizzazione politico-militare di resistenza anti-nazista creata dal Generale De Gaulle durante la seconda guerra mondiale, che attirava intellettuali francesi. L’anticolonialismo di Simone Weil nacque perciò molto presto, dalla consapevolezza che l’oppressione colpiva pesantemente gli abitanti delle molte colonie francesi.

La prima volta che si era sentita coinvolta in questa storia aveva solo ventuno anni e fu a causa della sanguinosa repressione attuata a Yen Bai in Indocina (Tonchino), nel 1930:[1] gli indigeni erano stati uccisi per la loro voglia di indipendenza. Lei lo aveva saputo dal quotidiano.

Come ogni mattina passava a ritirare le Petit Parisien, il giornale che leggeva a pranzo, dove il giornalista e scrittore Louis Roubaud[2] aveva scritto un’inchiesta coraggiosa e ben documentata. La tragedia indocinese scaturiva dalla rivalsa francese per l’uccisione di suoi ufficiali ad opera della guardia indocinese, e la risposta francese aveva fatto secondo alcune stime 10.000 vittime tra contadini e popolazione civile, una repressione enorme e spietata che tornerà nei suoi scritti costantemente. Nel leggere delle violenze e dell’uccisione degli operai ammanniti, impotenti di fronte a tanta forza bruta, lacrime di vergogna le avevano rigato il viso e racconta che l’anno successivo, il 1931 periodo dell’esposizione coloniale internazionale di Parigi,[3] percepiva palpabile la contraddizione esistente tra la tranquilla e incosciente folla parigina piena di ammirazione del Tempio di Angkor-vat, e la loro indifferenza rispetto alle sofferenze inflitte a quel popolo proprio dal colonialismo francese.

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